FEDRA
di GHIANNIS RITSOS
spazio scenico e regia ALESSANDRO MACHÌA
con LAURA LATTUADA
e ANDREA BERUATTO nella parte di Ippolito
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costumi Laura Giannisi | luci Giuseppe Filipponio
habitat sonoro Giorgio Bertinelli | aiuto regia Tommaso Garrè
foto e grafica Manuela Giusto
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una produzione Zerkalo
in accordo con Arcadia & Ricono srl per gentile concessione di Ery Ritsou
Note di regia
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Scritto in esilio e terminato nel 1975, poco dopo la fine del regime dei Colonnelli, Fedra, appartenente alla raccolta denominata Quarta dimensione, è forse è uno dei testi più riusciti del grande poeta greco Ghiannis Ritsos; il più palpitante, a un tempo carnale e mistico, interpretato qui da una straordinaria Laura Lattuada.
Ritsos, attraverso il meccanismo della confessio, riflette sul desiderio come oltranza e abisso, che confina con l'estasi; ma anche sul tempo, sulla bellezza del corpo come luogo di verità, di mistero, come tempio sacro, in una prossimità di amore e morte.
Fedra parla, dice tutto, dichiara in maniera feroce il suo desiderio bruciante per il giovane e bellissimo figliastro Ippolito. Parla a un corpo che l’ascolta muto, quel corpo che si nega, si sottrae, e che per Fedra eÌ€ una casa, un tempio. Ippolito, nella sua fissitaÌ€ da oggetto del desiderio eÌ€ esposto allo sguardo, su un piedistallo, come una statua greca, offerto per essere scrutato e toccato, come un Cristo sul quale Fedra rovescia addosso parole deliranti e lucidissime, di passione cieca e di negazione.
Questa liberazione della parola avviene in una scena obitorio, fredda, invasa da una luce bianca e fatta di pochi elementi d’arredo, i cui bisturi sono proprio quelle parole che in un eccesso lirico e allo stesso tempo erotico, tentano di toccare il corpo di Ippolito, di comprometterlo, di gettarlo nel mondo, di umanizzarlo, smascherando come falsa la castitaÌ€ del ragazzo, il suo rifiuto del desiderio, “la santitaÌ€ della privazione”.
Ma a Fedra, inconciliabile e umanissima, di fronte all’impossibilitaÌ€ di conoscere quel corpo e alla sproporzione del suo desiderio senza compimento, di fronte alla “gelida santitaÌ€” di Ippolito, non resta che il suicidio e la vendetta della lettera infamante, come ultima possibilitaÌ€ di “toccare” l’amato.
Un minuzioso lavoro di sonorizzazione della scena, di tessitura di suoni reali della natura e di rumori come provenienti dalla psiche di Fedra, fa emergere quella quarta dimensione, quell’invisibile che abita i testi di Ritsos, dando vita a uno spettacolo polivocale, onirico e fortemente suggestivo.