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L'UOMO MIGLIORE

 

IL SOGNO DI ACHILLE E PATROCLO

 

di ALBERTO BASSETTI

TOMMASO GARRE'
con ROBERTO TURCHETTA, MARCELLO MONTALTO

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e con l'amichevole partecipazione in voce di LAURA LATTUADA

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luci Nevio Cavina | musiche orginali Domenico Arcidiacono | scene e costumi Laura Giannisi | assistente alla regia  Alberto De Gasperi 

assistente di produzione Massimiliano Nicodemo

 

una produzione Zerkalo 

 

 

Sinossi

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La vicenda immortale di Patroclo e Achille, rivisitata in preziose interpretazioni che vanno da Pasolini a Morante, da Anouilh a Cocteau, solo per citarne alcuni, prende in questa versione, quasi brechtianamente, nuova linfa e attualità. Essa mette in scena due scalpellini che si trovano a dover realizzare la lapide di Patroclo, da affiancare a quella del suo amato Achille. È il popolo, dunque, che sale alla ribalta: un coro tragico che diviene protagonista e veicolo delle varie voci di una guerra insensata; il senso più profondo, che muove lo scalpello sul marmo nell’accostare i due nomi, è sì nell’unione e nell’amore smodato, ma anche nella laceranti differenze: chi è l’Uomo Migliore degli Achei (ariston acaion) ? Colui che ricerca la gloria nella “armonia che di mille secoli vince il silenzio”, usando i memorabili versi dei Sepolcri di Foscolo? Oppure l’uomo che depone le proprie speranze in una vita serena nel calore rassicurante degli affetti, ascoltando attorno al falò la canzone di chi più ama? Da questo presupposto parte l’originale versione di Alberto Bassetti, che prende le mosse

primariamente da “La Canzone di Achille” di Madeline Miller e dallo studio delle opere di Eva Cantarella, così come dalle scritture classiche. Bassetti, dopo il successo di Edipo in Compagnia (anno 2014), e di Phaedra (anno 2016), completa un trittico di opere sul mito classico, coadiuvato da Tommaso Garré al suo debutto come regista che, formatosi artisticamente all’Inda di Siracusa e cresciuto nella compagnia di Sebastiano Lo Monaco, nel mito classico è nato. Lo spettacolo si pone dunque come profonda riflessione sul tema della ‘vita preferibile’, nonché su quello dell’amore nelle sue diverse sfaccettature e modalità, valore prezioso e mai discriminante, imprescindibile anche oltre la morte : perfino in essa, infatti, si può scegliere se accompagnarvisi, perché esso non si riduce ai vivi.

Note di Regia

 

Deorum Manium Iura Sancta Sunto”

“Siano sacri i diritti degli Dei Mani”

Cicerone, De legibus

 

Lo scenario immaginato da Alberto Bassetti ne L’Uomo Migliore è un cimitero materiale e immateriale: è un Mausoleo dove riposano le spoglie di grandi eroi di guerra, il luogo dove una lontana voce di madre piange i caduti, ma è anche il segno di un’epoca estinta. Le rovine del Mito sono la decadenza di un tempo contemporaneo che non ha saputo preservarsi nella propria dimensione spirituale e valoriale; ha perso di senso la credenza, s’è smarrita perfino la qualità dell’immaginazione. Ed ecco, allora, che assume significato recuperare il valore del racconto.

Davanti alle rovine del Tempio, due artigiani marmisti, affaccendati nel loro compito di attribuire un proprietario alle lapidi, per citare Amleto, “cantano scavando la fossa”. In realtà, essi scaveranno un’enorme fossa dentro se stessi proprio attraverso il canto e la rievocazione di gesta memorabili, per merito del gioco teatrale che li tramuterà rispettivamente nei celebri Achille e Patroclo; il loro amore, qui, non può assumere le sembianze dell’eros e della passione, ha già scollinato le categorie della vita mortale: il loro è un amore cimiteriale, disperato, perché senza speranza è la “corrispondenza d’amorosi

sensi.”

È in questo clima di foscoliana memoria che si muovono i due attori del Mito, agendo tra sepolcri di un tempo inevitabilmente passato e trascurato; qui lo stile classicheggiante dei ruderi si mischia senza soluzione di continuità a elementi di costume brechtiani, novecenteschi, richiamando l’impossibilità di una storicizzazione: il Mausoleo, così come la Corazza di Achille e gli altri oggetti che escono da una lapide, come reliquie votive, sono cristallizzati nel Mito, sono credenza religiosa, dispositivo d’immaginazione. Anche la voce di Teti, lontana e congelata in un tempo altro, si pone come libagione all’oblio della morte: è un ricordo di una madre addolorata che non ha potuto salvare suo figlio dalle leggi dei maschi. Lo diranno entrambi, prima Achille e poi Patroclo, sul finire della guerra e, quindi, delle loro vite: le colpe risiedono nelle azioni dei padri, incapaci di essere uomini migliori.

Emerge, dunque, tutta l’urgenza politica di dialogare anche con le nuove generazioni, coi posteri, sul tema della scelta, della vita preferibile. Non è immediato comprendere chi sia l’uomo migliore, né è scontato discernere chi tra Patroclo e Achille abbia combattuto per amore e chi per ambizione. Ed è tra i suoni ipnotici della Natura, da cui prende il via questa storia, che il senso politico della scelta emerge con grande forza: il mare, come segno delle infinite rotte navigabili, è metafora della possibilità, ma anche della rinuncia. I due personaggi, prima come scalpellini che come eroi, sono chiamati a scegliere quale sia il senso di scolpire proprio quelle storie sul marmo.

E allora quelle rovine sullo sfondo non sono più i vessilli di un mondo glorioso che avremmo voluto vivere, ma sono i mattoncini a cui deve guardare una riconquistata grandezza spirituale nel nostro tempo.

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